












NICOLA FILIA
Sabato 19 e domenica 20 dicembre 2020 dalle ore 14.00
Palmieri Collection presenta “Appuntamento con l’Artista”
Nicola Filia e Paolo Palmieri in conversazione con Tiziana Casapietra
Dicembre 2020
Con l’artista Nicola Filia prende avvio il progetto di residenze “Appuntamento con l’Artista” ideato e voluto da Paolo Palmieri. Durante la conversazione che segue Palmieri e Filia parlano del progetto e della loro visione dell’arte.
Via Milano 47 Celle Ligure (SV)
Futuro a Tempo
Tiziana Casapietra: Paolo, ci racconti l’idea di questo progetto di residenze a Celle Ligure?
Paolo Palmieri: Con mia moglie Maria Antonietta, quando abbiamo sistemato “la Casetta di Laura” la dépendance di casa mia, abbiamo pensato che lo spazio si sarebbe adattato benissimo per presentare lavori d’arte. Da lì è nata l’idea di ospitare artisti che avrebbero prodotto lavori in modo che il pubblico potesse ammirare le opere e conoscere il processo creativo che porta alla loro realizzazione.
TC: Da dove nasce questo progetto?
PP: Il progetto si chiama “Appuntamento con l’Artista” e si ispira a un lavoro di Jonathan Monk, “Meeting #49” che ho acquistato dalla Galleria Sonia Rosso nel 2003. L’opera consiste nella scritta “Mole Antonelliana Torino 24 Aprile 2014 a mezzogiorno” formata da lettere adesive nere in stile helvetica. La scritta annuncia un futuro incontro con chi ha acquistato l’opera.
TC: Hai poi incontrato Jonathan Monk?
PP: Si, è arrivato puntualissimo a mezzogiorno alla Mole Antonelliana, io ero con Maria Antonietta e le bambine Paolina e Giuseppina nel passeggino. Jonathan ci ha dedicato tutta la giornata, ha preso il passeggino e abbiamo camminato per le strade di Torino. Poi abbiamo incontrato la gallerista Sonia Rosso e siamo andati tutti a pranzo.
TC: Che relazione ha questo progetto con quelli che organizzi ad Artesina?
PP: Ad Artesina è stato realizzato il “Pink Rabbit” dei Gelitin, l’enorme coniglio rosa in lana posato in cima a una montagna, in quel caso ho messo a disposizione un terreno e insieme a un pool di collezionisti coordinati dalla galleria Pinksummer di Genova abbiamo finanziato l’opera.
Il secondo progetto, “The Lost Reflection” di Susan Philipsz, è un’installazione sonora che fa parte della mia collezione personale e che ho installato in un bosco sempre ad Artesina.
La residenza di Celle è un progetto completamente diverso ma fa parte di un percorso simile, siete posseduti da un’idea, la trovate espressa ovunque, e non vedete l’ora di realizzarla.
TC: “Siete posseduti da un’idea, la trovate espressa ovunque, e non vedete l’ora di realizzarla”. Vuoi entrare dentro a questa frase?
PP: È in parte una citazione di Thomas Mann: “Se siete posseduti da un’idea, la trovate espressa ovunque, ne sentite persino l’odore”. È quello che si prova quando si vuole realizzare un progetto che abbiamo in mente.
TC: Cosa ti affascina dell’arte? Cosa ti ha condotto a diventare collezionista e a promuovere l’arte?
PP: Ai tempi del liceo andammo a Torino a visitare una mostra della collezione Peggy Guggenheim, rimasi incantato dalla bellezza dei lavori, in particolare “La vestizione di una sposa” di Max Ernst, “Uccello nello spazio” di Constantin Brancusi, Yves Tanguy, Alexander Calder, Renè Magritte, solo per citarne alcuni. Rimasi affascinato dalla figura di questa donna che era riuscita a raccogliere una così meravigliosa collezione.
Ho iniziato alla fine degli anni 90 ad acquistare alcuni lavori alla galleria “New Santandrea” di Savona diretta da Francesca Pennone (lavori di artisti come Amedeo Martegani, Miltos Manetas, Monica Carocci, e altri); ho poi iniziato a viaggiare, a frequentare mostre, musei, artisti.
L’arte contemporanea è un’esperienza sensoriale, penso a una bellissima mostra, “Apocalypse” alla Royal Accademy di Londra dove ogni artista aveva a disposizione una stanza. In particolare ricordo l’installazione di Gregor Schneider, un labirinto fatto di camere segrete da esplorare, ma anche allo straordinario tramonto di Ólafur Elíasson alla Tate Modern.
TC: Come riesci a conciliare la tua anima imprenditoriale con quella più poetica che ti porta a descrivere l’arte con le parole che hai usato sopra?
PP: In realtà preferirei esprimermi con le immagini, mi è sempre piaciuto scattare fotografie; ho iniziato a farle con una Exacta, una vecchia reflex di mio padre, poi con le prime macchine digitali e infine con lo smartphone. Ho raccolto migliaia di fotografie. Ora su Instagram vedo che è diventata la passione di molti. Ho avuto un’educazione artistica e per un periodo ho dipinto grandi tele astratte, dei vortici di colore, ma ho lasciato l’arte a chi la fa di professione e talvolta mi occupo di quella che fanno gli altri. Il mondo del lavoro e degli “adulti” ti porta a rapporti molto freddi e il confronto con gli altri è incentrato nell’affrontare problemi sempre nuovi e complicati.
TC: Sembrerebbe che tu veda l’arte come un’attività da bambini…
PP: L’arte non è un’attività da bambini, ma educa all’intelligenza emotiva e ci insegna ad ascoltare noi stessi, le nostre sensazioni, le nostre emozioni, ma se ci fa sentire bambini è un bel risultato.
TC: Come hai conosciuto Nicola Filia con cui dai avvio a questo progetto a Celle?
PP: Ho conosciuto Nicola grazie a mia moglie, siamo andati a trovarlo nella sua “bottega” a San Pantaleo in Sardegna e da lì è nata una frequentazione. Di Nicola mi ha colpito la capacità artistica e la determinazione, mi è piaciuto in modo particolare il lavoro che ha presentato al Museo Man di Nuoro “Un Bosco di Alberi Bianchi”.
TC: Vuoi parlarci di questo lavoro? Cosa ti ha colpito?
PP: È un’opera museale entusiasmante, di grande impatto visivo, delicata, forte e nello stesso tempo fragile, mi ha ricordato “The Forêt” installazione di Xavier Veilhan a Grenoble, anche se là il materiale era completamente diverso, del panno arrolato anziché la ceramica.
TC: Nicola, Paolo ha accennato al lavoro che hai presentato al Man di Nuoro, “Il bosco degli alberi bianchi”. Vuoi parlarcene?
Nicola Filia: “Un Bosco di Alberi Bianchi” è un bosco metafisico, fatto di alberi in argilla dipinti di bianco, un luogo ideale dell’anima. Queste parole mi sono state quasi strappate dallo stomaco dalla allora direttrice del Man, Cristiana Collu, alla quale devo tanto ancora oggi.
Gli alberi, privi di rami e di foglie, sono eterei, puri, leggeri, filiformi. All’interno di questo bosco, vi era una radura, nel mezzo della quale l’uomo poteva raggiungere l’illuminazione.
L’installazione, composta da 100 sculture, è stata esposta per un mese intero nella sala principale del Museo, in contemporanea alla mostra antologica di Marc Chagall. Mi piace riportare un episodio capitato più volte, ovvero quello di alcuni visitatori che non sono riusciti a entrare fisicamente nell’opera. Forse per rispetto o per timore, l’hanno osservata dal di fuori.
Per realizzare le sculture ci sono voluti tre anni di lavoro. Oggi una parte dell’installazione è in permanenza a Carbonia, presso la Grande Miniera di Serbariu. Un altro importante numero di pezzi si trova in collezioni private.
TC: Nicola, cosa presenterai a Celle?
NF: A Celle presenterò il progetto “Temporary City”, in una installazione site_pecific. Una grande città in ceramica, modulare, bianca lucida, una città siriana bombardata. Decaduta e disabitata. Ma anche una città contemporanea affollata, quasi un formicaio senza senso, dove tutti rincorrono qualcosa che mai avranno. Una posizione sociale, una scalata economica, un impossessarsi di tutto e alla fine una perdita di se stessi.
TC: Mi piacciono le tue parole: nella città tutti rincorrono qualcosa che mai avranno. Perché impossessandosi di tutto si perde se stessi?
NF: La vita delle città, penso a Cagliari in Sardegna che è la più grande (dove ancora la qualità della vita è accettabile), ma soprattutto Roma, Milano e via dicendo, è regolata da ritmi necessariamente veloci, per i quali la mente delle persone comincia a “compartire” i compiti che automaticamente si dà. Dalla sveglia del mattino inevitabilmente si innescano meccanismi che ti portano ad automatizzare i tuoi compiti, rispettando tutta una serie di regole civili e democratiche di funzionamento e rispetto reciproci. Penso al metrò ad esempio e alle sue regole delle scale mobili. La parte destra per gli statici e la parte sinistra libera per i dinamici.
In questa società delle metropoli dove la fretta e la corsa scandisce le vite, perché tutto è obiettivamente distante, esiste un’inconsapevole rincorsa a un funzionamento matematico, dove i numeri crescono. Credo che la mente poi si dedichi inconsapevolmente a cercare di migliorare una posizione del corpo mortale sul pianeta, per cui tutto assume un valore economico.
Ho deciso di vivere e operare in Sardegna perché personalmente ho capito che la ricerca importante in questa vita, è quella interiore, quella dell’elevazione personale e spirituale. A quel punto, se ascendi, ti liberi dei pesi e dei fardelli comuni e cominci a capire che la vera ricchezza sono il tempo e lo spazio, e non il conto in banca.
In questi anni ho conosciuto persone ricchissime che dalla vita hanno avuto tanto e spesso in eredità dai padri e dai nonni. Forse solo uno di essi è in linea con i miei pensieri e vive una vita straordinaria.
Molti invece si sono persi e continuano a vagare in un limbo fatto di paure e incertezze, dove l’essere ricchi è solo una condanna.
TC: Un’inconsapevole rincorsa a un funzionamento matematico, dove i numeri crescono. Questa suggestione è molto interessante. Vuoi parlarne ancora?
NF: Si volentieri. Credo che sia come la legge del mettere o del togliere. Una chiara presa di posizione mentale, nel mio caso quasi una dieta del cervello. Faccio il paragone con la ceramica. Quando si inizia a lavorare la terra, una delle prime cose che naturalmente viene da fare, come di istinto, sono le textures, le impressioni sulle superfici tramite timbri. Poi arriva il graffito, poi gli ingobbi, insomma si tende a stratificare la forma con interventi non necessariamente superflui, ma che addizionandosi ai precedenti creano passaggi matematici.
Così mi pare succeda anche alle nostre vite, tendiamo a sovrascrivere informazioni, bisogni e di conseguenza proprietà, senza accorgerci che nel frattempo il dono della vita scorre. E passiamo troppo tempo a gestire cose che poi non ci godiamo.
Quando decisi di lavorare su forme pulite ed essenziali, con smalti monocromatici, senza decori e senza applicazioni, trovai la mia strada nelle ciotole e nei vasi. Minimalisti e puliti. Di conseguenza trovai me stesso grazie alla ceramica. Mi persi solo quando iniziai a concentrarmi sulla commercializzazione dell’oggetto, che però fu necessaria. Oggi quando realizzo oggetti lo faccio solo per me.
Il togliere nella ceramica, mi ha subito rapito, perché sono riuscito a dominare quell’appetito mentale che mi portava ad aggiungere, e ho quindi imparato a togliere. Seguo questa filosofia anche nella vita, cercando di semplificarla il più possibile.
TC: Vuoi parlare del tuo interesse per il materiale ceramico?
NF: Ho conosciuto la ceramica per caso, trovando un pezzo di argilla nello studio di mio padre pittore. Ricordo che i primi pezzi li feci cuocere nella fabbrica di mattoni forati rossi nella periferia di Carbonia. Nel frattempo finivo il liceo e mi trasferivo a Cagliari per studiare lingue e letterature straniere.
Coltivavo la mia passione e andavo sempre più in profondità, rapito da questo mondo di smalti, fuoco ed effetti sorprendenti. Poi ebbi la fortuna di conoscere un grandissimo torniante di Deruta, che mi insegnò le tecniche antiche della lavorazione al tornio. Grazie alla dedizione e al lavoro al tornio, i miei oggetti furono selezionati dalla B&B Italia, azienda per la quale ho lavorato per oltre 15 anni.
Prima di aprire la mia attività a Olbia, ho studiato tanto la ceramica, frequentando oltre l’istituto Contini di Oristano, vari corsi di specializzazione. A Faenza ho trascorso 15 giorni tra l’Istituto d’Arte e il Laboratorio di Cimatti. In questa lunga ricerca il mio amore per la ceramica si è gradatamente perso nel labirinto della tecnica. Da alcuni anni ho deciso di non realizzare più opere su commissione e di concentrare la mia attenzione sui temi a me cari, quelli della mia ricerca interiore. Ecco che la ceramica quindi diventa un mezzo per raccontare delle cose, e non più il fine. Quasi un traduttore di emozioni e allora lì ritrovo me stesso. Ho sempre rifiutato l’idea di essere ceramista, perché è un mondo che non mi appartiene. Ne ho fatto sicuramente parte, ma tutto ormai è cambiato.
TC: Mi ha colpito questa frase: in questa lunga ricerca il mio amore per la ceramica si è gradatamente perso nel labirinto della tecnica. Vuoi approfondire questo aspetto?
NF: Ho sempre pensato alla ceramica come una droga. È una sorta di dipendenza quando non la conosci. Hai costantemente bisogno di creare, cuocere, smaltare. Ti accorgi degli errori e ricominci. Cuoci di tutto e poi inevitabilmente migliori, perché la passione ti fa lavorare anche 12 ore al giorno, continuamente. Poi per caso qualcosa ti viene benissimo, solo perché hai mischiato 2 smalti incompatibili che, a mille gradi, si sono separati, dando luogo a un effetto straordinario. Troppe sono le variabili della ceramica, che non basta una vita per capirle tutte.
Ed è stato quando mi sono guardato da fuori, e mi sono visto dentro un bosco (da qui anche il mio lavoro del MAN di Nuoro nel 2008). Perso, quasi disperato. Da un lato la produzione che cresceva (ai tempi della B&B Italia), dall’altro la necessità di essere qualcos’altro. Solo per me. Lì ho capito che la mia passione per la ceramica era finita. Ho rifiutato l’idea di trasformare la mia vita in commercio di ceramica, perché mi sono sentito piccolo e incapace di uscire dal labirinto. Allora ho deciso di tornare indietro e di ricominciare da capo. Ora io e la ceramica siamo buoni amici. Ci rispettiamo a vicenda.
TC: Mi pare che concettualmente il lavoro del bosco e quello della città siano molto simili.
NF: Grazie… direi Più che simili fanno in realtà parte della stessa idea, dello stesso percorso. Anche se paradossalmente è iniziato dalla fine, e va a ritroso. L’ho capito anche io da poco. Tendenzialmente la natura ed il bosco in particolare , è il luogo che raccoglie i fuggitivi che cercano ispirazione, relax , maditazione. La natura in generale è il ritrovo delle anime che fuggono dalle città….
Cronologicamente io ho raccontato prima questo luogo, appunto il bosco, per poi ripartire da capo. Si tratta comunque sempre del rapporto dell’uomo con la natura…..
un po come ho fatto con Megalòpolis, ovvero un viaggio a ritroso, da dove tutto è finito a dove tutto è iniziato. Dalle città post_atomiche a quelle nuragiche.
un altro elemento importante di questa ricerca, che lega queste due dinamiche , è quello dell’energia, del carbone. La mia città natale è Carbonia, territorio famoso per le miniere come tutto il Sulcis Iglesiente.
Dallo sfruttamento delle miniere nasce la mia città, una città di fondazione, in pieno ventennio fascista, e inaugurata dal Duce in persona.
Quello che è rimasto, ma non solo a Carbonia, di questo tentativo di progresso in realtà è solo disastro.
Ettari di territorio sfruttato e reso sterile e povero. Zone minerarie scavate e resti di inerti dappertutto. Fabbriche di acciaio che hanno inquinato intere zone costiere, come a Portoscuso. Tutto in nome di un progresso che poi è stato regresso. Una parvenza di benessere illusoria che ben presto ha svelato la sua vera identità.
Si è regalato un “Temporary Future”, ovvero un futuro temporaneo, un futuro a tempo.
Tornare indietro ora sarà un’impresa impossibile. Quel che è fatto è fatto.
Rimane l’amaro in bocca e per me il dovere di raccontare attraverso la ceramica, ma anche altri materiali, questo punto di vista e questo sentimento di impotenza.
TC: Ecco, parlaci degli altri materiali che scegli per i tuoi lavori.
NF: L’ultimo in ordine di tempo è il gasbeton. Un cemento alleggerito facilmente lavorabile. Tagliandolo a fette e a cubi, parallelepipedi oppure a spacco, ho creato una collezione di città in edizione limitata, quasi delle prove d’autore, destinate a qualcosa che ho in mente, come trasformarle in un intervento monumentale.
Ho inoltre realizzato delle torri in acciaio corten, partendo sempre da scatole di acciaio che poi sovrapposte e saldate tra loro diventavano alte sculture, rappresentando le torri di babele contemporanee nelle città del futuro.
Ho inoltre utilizzato i forati di terracotta, sia interi sia scolpiti, spaccati, tagliati e ripassandoli in forno a 1000 gradi, li ho trasformati in palazzi bombardati e abbandonati.
Con la rete elettrosaldata ad esempio, ho realizzato la grande città di ferro, esposta attualmente ad Abbasanta, alta 6 metri. Una grande incompiuta lasciata arrugginire.
Adesso ho in programma di lavorare sui cementi armati, anche se dopo aver visitato la mostra di Uncini alla Galleria Nazionale ho avuto un serio ripensamento. Mi ci sono subito riconosciuto e devo dire che ho deciso di prendermi una pausa per cercare una soluzione alternativa, tecnicamente parlando, per realizzare i miei volumi.
TC: Concludiamo con il tuo primo lavoro e il lavoro su cui stai lavorando ora.
NF: Difficile dire con precisione quale sia stato il mio primo lavoro. Sono cresciuto nello studio di mio padre pittore, tra i colori a olio e le tele, tra la china e la trementina. Tutti ricordi straordinari. Mi ricordo i profumi a distanza di tanti anni. Con lui ho partecipato alle realizzazione dei presepi in chiesa, sia in terracotta sia in das e alle scenografie… Ricordo i grandi pannelli di legno e le pitture a tempera.
Una delle mie prime commesse fu la realizzazione di alcuni oggetti di rappresentanza. Forse per una Cantina Sociale e ancora le bomboniere per i testimoni del matrimonio della mia madrina.
Ricordo però benissimo quando la B&B Italia mi confermò la scelta di includermi nella loro Luxury Collection come fornitore di oggettistica. Avevo 27 anni e già 9 anni di esperienza di laboratorio alle spalle. Lavoravo da autodidatta nel garage della mia casa di Carbonia.
Ora sto preparando già da mesi la mia prossima personale, al Museo Diocesano Arborense di Oristano. Museo straordinario che ospiterà la mia Via Crucis, un’installazione di quasi 50 sculture in ceramica che raffigureranno la via della Croce del Cristo. Le sculture antropomorfe saranno suddivise in 14 stazioni, 4 sculture per stazione. Un’opera unica che non ripeterò.