CARBONE

Ho conosciuto Nicola Filia entrando nel suo atelier, piccolo e dagli equilibri instabili delle tante ceramiche, una mattina di fine luglio.
Avendo visitato gran parte della Sardegna, parlando con lui dei suoi luoghi, Carbonia e il Sulcis, ne ho ripercorso la memoria. Riaffiorano così immagini di paesaggi violentati dall’uomo per bisogno, come una sorta di ferita che scoperchia la crosta terrestre rivelandone l’essenza.
Nicola è un fiero figlio di questa terra e non se ne stacca, testimone e genio, mi comunica l’inquietudine senza timore. Anzi. Mi invita a seguirlo nel suo percorso artistico che si compone con molteplici supporti: ceramica, ferro, legno, tutti legati alla Madre Terra, tutti apparentemente non miscibili tra loro.
Ma Nicola ne fa sintesi, ne trova il filo conduttore e lo propone (tra l’altro) in una chiave di lettura insolita e affascinante: la visione dal basso, dal profondo della crosta terrestre, simbiotica e tremendamente materica.
La controprova me la offre mostrandomi la foto di un suo lavoro, attualmente esposto alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna in Roma nella mostra: “On flower power”. Si tratta di un vaso spaccato che lascia scorgere la terra, compattata e intricata di radici (rese da un intreccio di tondini di ferro). Questa insolita proposta, audace e nitida, mi provoca meraviglia e come una rivelazione mi mette sulla strada giusta per comprendere la sua proposta artistica.
Il fuoco interiore presenzia sí, ma letteralmente ne plasma la terracotta. Nicola domina l’elemento grezzo e ce lo restituisce nelle vesti eleganti, vetrificato, piacevole al tatto.
La città nelle varie metafore,  opprimenti, ossessive, evidentemente a stigmatizzare la prevalenza della costruzione sull’umano. Non vi è quindi futuro se non si scende a compromesso con la natura reale della terra.

 

Giuseppe Ietto